Anatomia del naso
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VOLTA OSSEA
Nello scheletro della piramide nasale si riconoscono una porzione ossea ed una cartilaginea (volta ossea e volta cartilaginea).
SCHELETRO OSSEO Costituito dalle ossa nasali e dal processo frontale del mascellare da ciascun lato.
OSSA NASALI
Ognuna delle ossa nasali ha forma grossolanamente quadrangolare, essa entra in rapporto:
In alto con il processo nasale del frontale e con la spina frontale ( sutura naso- frontale)
In basso con le cartilagini triangolari (su cui si sovrappone per circa 1 mm) Lateralmente con il bordo anteriore del processo naso-frontale della branca montante del mascellare superiore a cui sono connesse aftraverso la sutura naso- mascellare.(assai poco resistente)
Medialmente con l’osso nasale controlaterale (sutura internasale); quest’ultima, all’interno, dà luogo ad una cresta ossea connessa in alto con la spina nasale del frontale e inferiormente con la lamina perpendicolare dell’etmoide.
PROCESSO FRONTALE (Branca montante) DEL MASCELLARE SUPERIORE
In alto si articola con l’osso frontale.
Lateralmente, superiormente, si articola con l’osso lacrimale, con cui forma il SOLCO lacrimale; inferiormente si articola con il corpo del mascellare. Medialmente si articola con l’osso nasale.
Inferiormente le ossa mascellari assieme al processo orizzontale delle ossa palatine formano il pavimento delle fossa nasali.
Le ossa nasali rappresentano quindi la VOLTA OSSEA della piramide nasale, mentre i due processi frontali ne costituiscono il supporto.
VOLTA CARTILAGINEA
Lo scheletro cartilagineo è costituito dalle cartilagini triangolari, e dalle due cartilagini alari.
Le cartilagini triangolari sono fuse con il Setto cartilagineo , dando luogo alla VOLTA CARTILAGINEA..
LE CARTILAGINI TRIANGOLARI sono unite:
Superiormente con la faccia ventrale della porzione distale delle ossa nasali e ventralmente sono un tutt’uno con la lamina quadrangolare del setto, creando cosi’ in tale zona il “centro di sostegno” del tetto nasale ( area K di Cottle).
Inferiormente le cartilagini triangolari sono in contatto con la faccia ventrale delle cartilagini alari, in corrispondenza del loro margine superiore (area della VALVOLA) Medialmente le due cartilagini sono unite insieme tranne che nella porzione inferiore dove si staccano a formare una sorta di V rovesciata, all’interno della quale si inserisce il triangolo debole del setto.
Lateralmente sono unite alla branca montante del mascellare, in corrispondenza dell’apertura piriforme per mezzo di tessuto connettivo fibroso.
LE CARTILAGINI ALARI rappresentano il sostegno cartilagineo della punta del naso e della columella.
Sono costituite da una crura laterale e da una crura mediale, il cui punto di unione costituisce la parte più alta della punta nasale.
Le crure laterali sono in rapporto:
Superiormente con il bordo inferiore delle cartilagini triangolari Inferiormente con il margine libero del bordo della narice.
Lateralmente vi e’ del tessuto elastico di sostegno
Medialmente si unisce con la crura controlaterale, verticalizzandosi verso il basso costituendo l’impalcatura della columella.
Le crure mediali tendono a divaricare.
MUSCOLI ELEVATORI
Il Procero (esercita trazione sulla punta del naso e dilata le narici). Il capo angolare del M. Quadrato del labbro sup.
La narte alare del M. Nasale.
MUSCOLI DEPRESSORI
Depressore del Setto (che allunga il naso e dilata le narici).
MUSCOLI COMPRESSORI
La parte trasversa del M.Nasale (è antagonista del Procero).
VASI
VASI DELLA PIRAMIDE NASALE
1. A. Trasversa del naso e A. dell’ala nasale, rami dell’ A. Angolare, ramo della A. Facciale
- A. Labiale superiore
- A. Infraorbitaria, ramo della A. Mascellare Interna.
- Vene tributarie della V. Facciale.
VASI DELLA PARETE LATERALE (INTERNA)
1. A. Etmoidale anteriore ( si estende fino alla parte alta della parete, la zona dell’attico).
2. A. Etmoidale posteriore che si anastomizza alla Sfenopalatina ed invia rami al turbinato sup. ed al 1/3 posteriore di quello medio.
3. A. Sfenopalatina ramo terminale della mascellare interna, con le due branche:
l’esterna (mucosa dei meati, turbinati, seni mascellari e frontali, cellule etmoidali) e l’interna che costituisce l’arteria principale del setto.
4. LA RETE VENOSA NASALE INTERNA si articola su tre piani:
- Vene superficiali comprese nell’ambito della mucosa.
- Rete venosa intraperiostea.
- Rete venosa intraossea.
Questi vasi drenano nelle vene Oftalmiche e Facciali.
ice e Sensitiva.
La Motrice dipende dal N. Facciale che innerva i M. Pellicciai. La Sensitiva dipende dal Trigemino, ed in particolare:
• N. infratrocleare, ramo del nasociliare, originato dall’oftalrnico, che innerva la radice del naso.
- N.nasale esterno che innerva la cute, il lobulo del naso e l’ala.
- N.nasali interni e N sfenopalatini che innervano la mucosa del naso.
- N infraorbitale che innerva i rimanenti tegumenti nasali.INNERVAZiONE VEGETATIVA
Costituita dalle vie efferenti ed afferenti del Simpatico e del Parasimpatico. Vie efferenti Simpatiche
L’origine è a livello D1-D2, il secondo neurone è a livello del ganglio cervicale superiore.
Le fibre post-gangliari formano i plessi carotidei esterno ed interno; seguendo infatti l’arborizzazione arteriosa il simpatico raggiunge le fosse nasali attraverso il plesso facciale, il plesso della mascellare interna(Carotide est.), e attraverso il plesso oftalmico(Carotide mt.).
Il plesso della Carotide mt. prende parte con un ramo alla costituzione del N. Vidiano e tramite questo raggiunge il ganglio sfenopalatino per innervare, con rami efferenti di quest’ultimo, le fosse nasali e le cavità paranasali.
Vie afferenti Simpatiche
Percorrono a ritroso il percorso delle fibre efferenti fino a livello Dl -D2.
Vie efferenti parasimpatiche
Prendono origine da cellule situate nel bulbo, decorrono nell’ambito del Facciale fino al ganglio Genicolato. Le fibre partecipano alla costituzione del N. Vidiano, col quale raggiungono il ganglio sfeno-palatino dove si trovano le sinapsi.
Vie afferenti parasimpatiche
Percorrono a ritroso il percorso delle fibre efferenti.
LOBULO
Il lobulo è la porzione di naso esterno costituito dalla punta, dalle ali, dalla columella, e dal setto membranoso. Ciascuna metà del lobulo circonda il corrispondente vestibolo.
STRUTTURE FIBROSE
Sono le fibre connettivali che uniscono le varie componenti osteocartilaginee fra di loro, garantendo ampia flessibilità al lobulo.Esse sono rappresentate da:
- Cul-de-sac, unisce il margine inferiore della cartilagine triangolare con quello superiore della alare.( Valvola)
- Setto membranoso, unisce la parte inferiore del setto cartilagineo con la columella
- Ala, struttura di sostegno che, con la cartilagine alare, mantiene aperta la narice.
- Triangolo debole, è dato dal legamento sospensore della punta che unisce le cartilagini alari al setto e alle c. triangolari.
- Triangolo molle, costituito da due strati cutanei separati da tessuto connettivo, situato tra la crura mediale e quella laterale.
- Triangolo fibroso, sostiene l’ala, dà mobilità al lobulo e, con la cartilagine alare, mantiene aperta la narice.
CUTE
La cute è sottile e spostabile al di sopra delle strutture ossee e delle cartilagini triangolari, è più spessa ed aderente a livello delle cartilagini alari.
FOSSE NASALI
SETTO: Lo scheletro del setto è costituito da:
Lamina perpendicolare dell’Etmoide: Origina dalla lamina cribrosa dell’Etmoide, entra in rapporto con la spina frontale. Nel 1/3 posteriore è in rapporto con il margine anteriore del vomere. Con i suoi 2/3 anteriori si articola con la cartilagine quadrangolari,anteriormente, con le ossa nasali. Posteriormente, con la cresta sfenoidale superiore.
Vomere:
Superiormente, si articola con il processo vaginale del processo pterigoideo dello sfenoide e con il processo sfenoidale dell’osso palatino.
Inferiormente, con la cresta nasale delle ossa mascellari e palatine riunite. Anteriormente, nei 2/3 superiori si unisce con la lamina perpendicolare dell’etmoide e nel 1/3 inferiore con la cartilagine settale
Posteriormente, è libero e separa le due coane
Lamina quadrangolare:
Supero-posteriormente, si unisce con la lamina perpendicolare dell’Etmoide In avanti, con la spina nasale anteriore
Antero-superiormente, forma l’area K di Coftle
In basso, si unisce al dome delle c. alari
PARETE LATERALE
La parete laterale di ciascuna fossa nasale dà attacco a tre lamine ossee dette cornetti o turbinati: t. superiore, t. medio, t. inferiore.
I turbinati medio e superiore sono delle espansioni laterali del corpo dell’etmoide, mentre il turbinato inferiore è un osso a sé stante.
Ciascun turbinato con la parete laterale delimita i rispettivi meati.
L’esame obiettivo in rinoscopia anteriore e posteriore consente di ispezionare tutta la cavità nasale, dalle narici alle coane.
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Tecniche di Fonochirurgia
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Introduzione
La fonochirurgia consiste in un insieme di procedure chirurgiche che hanno lo scopo di migliorare la voce.
Le tre principali tecniche fonochirurgiche che attualmente vengono impiegate sono: la micro-fonochirurgia (con strumentazione “fredda” o con laser CO2) la fonochirurgia della struttura laringea (laringoplastica per via esterna), la fonochirurgia fibroendoscopica. La micro-fonochirurgia viene eseguita sempre in anestesia generale, mentre le altre due procedure vengono di norma eseguite in anestesia locale.
Il ricorso alla fonochirurgia è generalmente riservato ai casi che non hanno tratto sufficiente miglioramento con la terapia medica e/o logopedica e il fonochirurgo deve conoscere tutte queste procedure al fine di offrire al paziente la soluzione chirurgica più adatta a trattare il problema di voce. In alcuni casi, infatti, potrebbe essere necessario ricorrere ad un intervento “combinato”, con l’associazione della fonochirurgia fibroendoscopica e della fonochirurgia della struttura laringea (in particolare nel trattamento degli esiti di cordectomia totale) (Ricci Maccarini et Al., 2005). Indispensabili per la buona riuscita dell’intervento di fonochirurgia sono il corretto inquadramento diagnostico clinico-strumentale e (con l’eccezione dei cantanti lirici) (Fussi, 2009), la terapia logopedica pre e post-operatoria.
Nei pazienti disfonici “comuni” l’obbiettivo principale della fonochirurgia è la riduzione della fatica fonatoria, mentre nei professionisti della voce artistica assume uguale importanza il miglioramento della qualità della voce; piccole lesioni delle corde vocali come noduli o edemi fusiformi possono compromettere significativamente le prestazioni vocali artistiche e richiedere il ricorso alla fonochirurgia, mentre in questi casi i non professionisti della voce sono maggiormente disponibili ad attendere i risultati della terapia medica, della terapia logopedica e del riposo vocale. D’altro canto, nei professionisti della voce artistica bisogna a volte astenersi dall’asportare completamente lesioni cordali congenite o acquisite benigne ( vergeture, edema di Reinke …) se queste ultime conferiscono alla voce caratteristiche timbriche peculiari dell’artista per cui la “normalizzazione” delle corde vocali sarebbe un grave danno (Fussi, 2003).
Descriveremo sinteticamente lo strumentario, le procedure, le indicazioni e i risultati che si possono ottenere con le tre tecniche fonochirurgiche nelle patologie laringee in cui maggiormente viene richiesto il ricorso alla fonochirurgia.
Micro-fonochirurgia
Questa tecnica fonochirurgica può essere eseguita con strumentazione cosiddetta “fredda” o con laser CO2. L’anestesia generale viene effettuata mediante intubazione oro-tracheale.
Per esporre il piano glottico viene utilizzato un laringoscopio operativo, che permette la visione diretta delle corde vocali mediante il microscopio operatorio. Il laringoscopio viene introdotto nella bocca del paziente, che è sdraiato in posizione supina con il capo lievemente iperesteso e viene fissato all’apparato per laringosospensione sec. Kleinsasser (1968); quest’ultimo è costituito da un’asta che viene appoggiata su un supporto regolabile ancorato al letto operatorio. Il microscopio operatorio viene collocato dietro la testa del paziente.
Il set di microstrumenti indispensabili è costituito da:
– micropinze “coccodrillo” rivolte a destra e a sinistra;
– micropinze “a cuore” o “triangolari” di Bouchayer rivolte a destra e a sinistra;
– microforbici rivolte a destra, a sinistra, e verso l’alto di 45°;
– microbisturi lanceolato di Bouchayer;
– microscollatori di Bouchayer rivolti a destra e a sinistra;
– microaspiratore, con valvola di sfiato prossimale;
– aghi endoscopici per iniezione intracordale di fluidi o di grasso autologo.
Nella micro-fonochirurgia con laser CO2 vengono utilizzati laringoscopi che non differiscono per forma e dimensioni da quelli utilizzati nella micro-fonochirurgia “fredda” se non per il colore scuro e opaco, che impedisce la riflessione del raggio laser, e per la presenza di un canale aspirafumo. Infatti, durante la chirurgia laser la vaporizzazione dei tessuti provoca la liberazione di fumo, che essendo più pesante dell’aria, tende a rimanere nel lume del laringoscopio se non viene opportunamente aspirato, con conseguente dispersione del raggio laser e riduzione della visione del campo operatorio. Per le neoformazioni laringee voluminose , dove è necessaria un’ampia esposizione del campo operatorio, possono essere utilizzati specifici laringoscopi costituiti da due valve con apertura distale (a compasso) e prossimale (in parallelo). Pur tenendo presente che molti chirurghi utilizzano una strumentazione tradizionale, in commercio esistono microstrumenti opportunamente dedicati alla microchirurgia laser, con la stessa forma e dimensione di quelli utilizzati nella micro-chirurgia con strumentazione “fredda”, ma opportunamente bruniti, per impedire la riflessione del raggio ed eventualmente provvisti di un canale di aspirazione. Tutte queste precauzioni devono essere attentamente osservate per evitare i rischi di complicanze (drammatiche) quali l’incendio del tubo anestesiologico e l’ustione dell’albero respiratorio. Quando si utilizza il laser CO2 si può parlare di vera “fonochirurgia” solo se viene utilizzato il software “acublade” che permette un taglio preciso con minima carbonizzazione, comparabile con il taglio ottenibile con la strumentazione “fredda”.Vediamo quindi l’applicazione delle tecniche di micro-fonochirurgia nelle varie patologie organiche delle corde vocali.
LESIONI CONGENITE DELLE CORDE VOCALI
Il trattamento fonochirurgico delle lesioni cordali congenite viene proposto quando la terapia logopedica non riesce ad ottenere un soddisfacente miglioramento della qualità della voce e soprattutto una sufficiente riduzione della fatica fonatoria. In questi pazienti la fonochirurgia è in grado di ottenere nella maggior parte dei casi una marcata riduzione della fatica fonatoria, in particolare riducendo l’insufficienza glottica e migliorando l’ondulazione della mucosa cordale, ma in molti casi non è in grado di ottenere un apprezzabile miglioramento della qualità della voce. Ciò è causato dal fatto che i pazienti con lesioni cordali congenite sono abituati a parlare con quel tipo di voce fin dalla nascita, per cui anche dopo l’intervento chirurgico “imitano” il timbro e la tonalità della voce che hanno utilizzato per tanti anni. A tale riguardo la terapia logopedica assume un ruolo di fondamentale importanza, sia nella fase pre-operatoria, in cui si cerca di eliminare le tensioni muscolari ed in particolare l’ipercinesia sopraglottica pseudo-compensatoria, migliorando la competenza glottica, sia nella fase post-operatoria, in cui l’obiettivo è il ripristino di una buona ondulazione della mucosa cordale e l’ottenimento di una fase di chiusura glottica completa.Le tecniche fonochirurgiche che vengono impiegate nel trattamento delle lesioni cordali congenite prevedono, a seconda dei casi, l’utilizzo della micro-fonochirurgia in anestesia generale secondo Bouchayer (1993) o la fonochirurgia fibroendoscopica in anestesia locale.
Nel trattamento fonochirurgico della cisti epidermoide (fig.1), la tecnica prevede l’asportazione della lesione, situata solitamente nello strato superficiale della lamina propria (o spazio di Reinke), ma a volte anche nello strato intermedio e/o profondo, conservando l’epitelio cordale superficiale.
L’intervento viene eseguito in microlaringoscopia in anestesia generale e prevede le seguenti fasi, codificate da Bouchayer (1992) (fig.2):
– cordotomia laterale alla lesione (circa 2-3 mm.) mediante microbisturi lanceolato;
– scollamento della cisti dal legamento vocale e dall’epitelio superficiale mediante uno scollatore smusso, mentre una pinza coccodrillo afferra il bordo di incisione dell’epitelio; a differenza della cisti mucosa da ritenzione (acquisita), solitamente aderente all’epitelio cordale, la cisti epidermoide è aderente al legamento vocale e non di rado è indovata nel contesto del legamento; – riaccostamento dei margini di incisione mediante colla di fibrina diluita.
Nel caso la cisti presenti un’apertura (fig.1), quest’ultima viene recintata ed asportata in blocco con la cisti. Il sulcus (fig. 3a) viene considerato come l’evoluzione di una cisti epidermoide, apertasi nei primi mesi o nei primi anni di vita, per cui l’accrescimento della corda vocale porta all’allungamento dell’apertura ed allo svuotamento del contenuto della cisti. Se il sulcus è situato nello spazio di Reinke senza aderire al legamento vocale (sulcus superficiale) (fig.4) l’ondulazione della mucosa non è significativamente compromessa e la fonochirurgia non è generalmente indicata. Tale lesione è stata classificata da Ford (1999) come sulcus cordale di tipo I. Il trattamento chirurgico è di solito riservato al sulcus profondo (tipo II) (fig. 4b) in cui il fondo del “sacco” aderisce al legamento vocale.
Il sulcus viene trattato come una cisti epidermoide aperta. Si esegue una doppia cordotomia (fig. 3b) laterale e mediale all’apertura del sulcus e si procede con lo scollamento e l’asportazione del sacco intracordale in monoblocco con i margini della sua apertura sull’epitelio di rivestimento. Il ponte mucoso (fig. 5a) è un doppio sulcus, creato da una doppia apertura di una cisti epidermoide, che isola una striscia di epitelio cordale. Tale lesione provoca una notevole compromissione dell’ondulazione della mucosa, per cui è frequentemente indicato il ricorso alla fonochirurgia (Ricci Maccarini et Al, 1997).
La tecnica chirurgica (fig. 5b) è simile a quella impiegata nel sulcus, in quanto consiste nell’asportazione del sacco della cisti aperta in monoblocco con i margini dell’apertura nell’epitelio superficiale, che in questo caso è doppia. Se il ponte mucoso è “stretto”, esso viene sezionato nei punti di attacco anteriore e posteriore e viene poi asportato. In caso di ponte mucoso “largo”, esso non deve essere asportato interamente, poiché si lascerebbe un’ampia zona di legamento vocale scoperto, con possibile formazione di una cicatrice iatrogena. In questi casi bisogna cercare di sezionare il ponte in senso longitudinale, asportando la sua faccia profonda, costituita da parete della cisti aperta, conservando la sua faccia superficiale, costituita da epitelio cordale. Tale manovra è alquanto delicata e viene realizzata mediante un microbisturi lanceolato. L’evoluzione di una cisti epidermoide verso la creazione di un sulcus o di un ponte mucoso porta ad un peggioramento della voce e ad una maggiore difficoltà tecnica dell’intervento di fonochirurgia. Di questo fatto bisogna tenere conto quando viene diagnosticata la presenza di una cisti cordale congenita in un bambino, che provochi una disfonia di tipo grave (G3) o anche moderato (G2) (Arias et Al, 2005). In ogni caso l’asportazione di una lesione cordale congenita deve essere effettuata non prima degli 11 anni di età, quando il legamento vocale completa la sua formazione, iniziata all’età di 4 anni, (Hirano, Sato, 1993). In caso di cisti bilaterale che causi una disfonia grave, la lesione più voluminosa può essere asportata anche all’età di 9 anni. Il trattamento della vergeture (fig. 6) viene effettuato con tecniche fonochirurgiche diverse a seconda della severità della lesione.
Possiamo avere infatti una lieve solcatura della mucosa, senza aderenza dell’epitelio al legamento vocale (vergeture superficiale) (fig. 6a). In questi casi, che Ford (1999) ha classificato come solcatura cordale di tipo I, non c’è solitamente indicazione alla fonochirurgia, in quanto l’ondulazione della mucosa non è significativamente compromessa. Progredendo nei gradi di severità della vergeture, possiamo trovare (fig.7) una ampia zona di mucosa sottile ed atrofica, con assenza dello spazio di Reinke (strato superficiale della lamina propria) ed aderenza dell’epitelio al legamento vocale (costituito dagli strati intermedio e profondo della lamina propria); il legamento vocale ed il muscolo vocale sono più o meno ipotrofici; la corda vocale è assottigliata ed inarcata (vergeture profonda, moderata, tipo II).
Nelle forme bilaterali la fase di chiusura glottica durante la vibrazione fonatoria è caratteristicamente fusiforme, con arresto dell’onda mucosa a livello della lesione.
La presenza di un ispessimento del legamento vocale a livello del bordo inferiore della vergeture profonda e il riscontro di pazienti che presentano una vergeture profonda in una corda e un sulcus profondo nella corda controlaterale ci ha fatto supporre che la vergeture potrebbe essere stata creata dalla “amputazione” (per ischemia) della parte inferiore di un sulcus (Ricci Maccarini et Al, 2009). Nella vergeture profonda è indicata la fonochirurgia.
A seconda della gravità dell’aderenza e dell’ipotrofia, eseguiamo una idrodissezione dell’aderenza tra epitelio superficiale e legamento vocale (fig. 8) mediante iniezione di idrocortisone e/o di acido ialuronico nello spazio di Reinke ed un aumento volumetrico della corda vocale mediante iniezione di grasso autologo nel muscolo vocale (Ricci Maccarini et Al, 2005); il grasso viene prelevato mediante liposuzione dal sottocute della regione periombelicale inferiore; a tale scopo viene utilizzato un ago di 14 Gauge di calibro e di 8 cm. di lunghezza, collegato ad una siringa da 10 cc autobloccante. Venti minuti prima del prelievo si infiltra il sottocute con una soluzione di adrenalina e lidocaina. Il grasso viene iniettato nel muscolo vocale, in una quantità doppia rispetto a quella necessaria per risolvere l’ipotrofia cordale, in quanto bisogna prevedere il riassorbimento di parte del grasso iniettato entro i primi 3-4 mesi dall’intervento. Per cercare di ridurre il riassorbimento, il grasso viene precedentemente centrifugato per 3 minuti a 3000 giri,così da separare il tessuto adiposo dal siero e dalle emazie (Coleman,1997); inoltre bisogna sempre evitare il contatto tra il tessuto adiposo e l’aria al fine di prevenire l’ossidazione del grasso: a tale scopo la siringa contenente il grasso prelevato viene inserita direttamente nella centrifuga e successivamente il tessuto adiposo concentrato viene travasato nella siringa di una “pistola” per iniezione intracordale ad alta pressione mediante un raccordo a tre vie. La pistola ad alta pressione viene connessa ad un ago per iniezione intracordale di grasso (fig. 9).
Nei soggetti molto magri al posto del grasso iniettiamo collagene eterologo (Remacle et Al, 1990) o omologo al di sotto del legamento vocale, mediante l’apposito ago endoscopico (fig. 9).
Il grasso autologo ha tuttavia un grosso vantaggio nei confronti degli altri materiali riassorbibili in quanto possiede cellule staminali che rendono l’impianto vitale e maggiormente durevole nel tempo. Tale intervento può essere eseguito, oltre che in microlaringoscopia diretta in anestesia generale, anche in fibroendoscopia in anestesia locale, come descritto più avanti.
Se questo tipo di intervento non è sufficiente per scollare l’epitelio aderente, impieghiamo la tecnica della “liberazione della mucosa” secondo Bouchayer (1992). Essa prevede (fig.10):
– infiltrazione di vasocostrittore: anche se Marc Bouchayer sconsiglia ogni infiltrazione della corda vocale prima della cordotomia per non alterare i piani anatomici, noi la riteniamo utile sia per ridurre il sanguinamento durante la cordotomia, sia per mettere in evidenza le zone di aderenza dell’epitelio al legamento vocale (o al muscolo vocale se il legamento vocale è assente); si utilizza una soluzione di adrenalina 1/50.000, iniettata mediante un ago molto sottile nello spazio di Reinke, ai fini di un’emostasi e di un’idrodissezione dello strato superficiale della lamina propria e nel muscolo vocale, con effetto di vasocostrizione.
– cordotomia mediante microbisturi lanceolato lateralmente alla lesione (circa 2 mm.)
-scollamento dell’epitelio aderente al legamento vocale mediante microscollatore smusso o (non di rado) mediante microbisturi o microforbici. La “liberazione della mucosa” deve proseguire fino al bordo inferiore della vergeture, costituito dallo “scalino” tra il legamento vocale normale ed il legamento ipotrofico.Terminato lo scollamento dell’epitelio cordale si applica colla di fibrina diluita o acido ialuronico, con lo scopo di favorire il riaccostamento dei margini di incisione dell’epitelio e di creare uno strato di separazione tra epitelio e legamento vocale, al fine di prevenire la formazione di aderenze cicatriziali. In caso di vergeture bilaterale viene scollata la lesione che crea maggiori ostacoli alla vibrazione cordale, rimandando l’intervento sulla corda controlaterale di almeno sei mesi, per facilitare la ripresa fonatoria post-operatoria. Si esegue infine un’iniezione intracordale bilaterale di grasso autologo, per ridurre l’insufficienza glottica.
La vergeture profonda severa (tipo III) (fig.9) è caratterizzata da una tenace aderenza dell’epitelio al legamento vocale, che è deiscente o assente; il muscolo vocale è atrofico.
In questi casi trova specifica indicazione la tecnica di Bouchayer associata all’iniezione intracordale di grasso. Si applica uno spesso strato di colla di fibrina sotto l’epitelio scollato, per creare uno strato di separazione con il muscolo vocale, essendo il legamento vocale deiscente o assente. La ripresa della fonazione dopo questi interventi di fonochirurgia è quasi sempre difficoltosa, per la frequente comparsa di una afonia da “conversione”, che ostacola l’impostazione di un corretto “schema fonatorio”. La terapia logopedica, in particolare con la tecnica della “manipolazione laringea” (Ricci Maccarini et Al, 2006, 2009) è di fondamentale importanza per superare questo momento critico nell’iter terapeutico di questi pazienti. Nella vergeture profonda, specie se severa, la vibrazione di tipo marginale crea una voce di tonalità acuta ed in registro di falsetto. Nei bambini in età di muta vocale (specie nei maschi), tale situazione anatomica favorisce l’instaurarsi di una “muta in falsetto”; questo fatto va tenuto in considerazione nell’indicazione alla fonochirurgia.Infine descriviamo il trattamento chirurgico del microdiaframma della commessura glottica anteriore. Si tratta di una sottile membrana che può essere facilmente resecata mediante microforbici o microbisturi; l’incisione deve essere laterale al fine di cercare di evitare la recidiva della lesione. L’utilizzo del laser CO2 con acu-blade rappresenta un’ulteriore garanzia contro la recidiva del microdiaframma. Nei diaframmi commessurali di grandi dimensioni si applica, similmente al trattamento delle sinechie glottiche iatrogene, un batuffolo di cotone imbevuto di Mitomicina-C alla concentrazione di 2 mg/ml, che viene lasciato a contatto con la zona cruentata per 10 minuti. Bisogna ricercare sempre la presenza di questa lesione congenita in caso di noduli cordali la cui genesi è favorita dalla presenza del microdiaframma (Bouchayer e Cornut, 1992); tale lesione determina infatti una fase di chiusura incompleta nel terzo anteriore della glottide, causando un pre-contatto tra terzo anteriore e terzo medio , dove appunto si formano i noduli corsali. Ogni volta che noi operiamo un nodulo, un polipo o altre lesioni acquisite benigne delle corde vocali, dobbiamo sempre ricercare l’eventuale presenza di una lesione congenita associata, nella stessa corda o nella corda controlaterale (cisti epidermoide, sulcus, ponte mucoso, vergeture).
Se non trattiamo anche la lesione congenita “intracordale” la lesione acquisita “extracordale” può recidivare con maggiore probabilità.
LESIONI ACQUISITE BENIGNE DELLE CORDE VOCALI
Il trattamento delle lesioni acquisite benigne delle corde vocali rappresenta un’indicazione elettiva per la micro-fonochirurgia con strumentazione “fredda”(Casolino e Ricci Maccarini, 1997). Molte di queste lesioni possono tuttavia essere efficacemente trattate anche con micro-fonochirurgia con laser CO2 (Peretti et Al, 1997) e con la tecnica fibroendoscopica (Diaz et Al, 1999, De Rossi et Al. ,2009). I noduli e i polipi cordali vengono afferrati con una pinza a cuore e trazionati medialmente. Si evidenzia in questo modo la base di impianto: se la neoformazione è piccola può essere asportata mediante microforbici con un unico taglio, ma se la lesione è voluminosa e/o se la base di impianto è larga, conviene procedere con più sezioni (fig. 12), dalla faccia superiore a quella inferiore, evitando in ogni caso manovre di strappamento, che possono produrre linee di sezione non corrette. I polipi molto voluminosi devono essere trattati con la tecnica utilizzata nell’edema di Reinke (vedi più avanti), al fine di evitare di lasciare un’ampia zona di legamento vocale scoperta, situazione che può causare la formazione di una cicatrice iatrogena. Nell’asportazione di lesioni del bordo libero delle corde vocali bisogna sempre rispettare i principi canonici della microchirurgia laringea:
– non ledere il legamento vocale
– non asportare l’epitelio in prossimità della commessura glottica anteriore (per evitare la
formazione di una sinechia)
– cercare (quando possibile) di lasciare epitelizzato il bordo libero della corda vocale.
- I noduli cordali si asportano contemporaneamente così come le eventuali lesioni occulte rilevate all’esplorazione cordale, come ad esempio un microdiaframma della commessura glottica anteriore. A tale riguardo è importante sottolineare che la possibile presenza di lesioni cordali “occulte” ed il loro eventuale trattamento contemporaneo alle lesioni manifeste, devono essere segnalati nel consenso informato pre-operatorio.Viene raccomandato il riposo vocale post-operatorio per una settimana, evitando i colpi di tosse, il raschio, gli sforzi muscolari, per il pericolo di rotture capillari. In alcuni casi di polipo cordale è utile un trattamento logopedico post-operatorio, mentre in tutti i casi di noduli cordali è indispensabile la rieducazione logopedica sia pre che post-operatoria. Il trattamento chirurgico più diffuso dell’ edema di Reinke è ancora (purtroppo) lo “stripping” o “decorticazione” della corda vocale, ma questa metodica non ha in sé le caratteristiche che deve possedere quella che si può definire come “chirurgia funzionale delle corde vocali”, in quanto non di rado porta alla formazione di cicatrici cordali iatrogene, allunga i tempi della guarigione anatomica e ritarda il recupero fonatorio. La tecnica più funzionale e quindi da preferire è la cosiddetta “sucking technique”, proposta inizialmente da Hirano (1988) e perfezionata da Bouchayer (1992), con il “lifting della mucosa cordale”. Quest’ultima è la tecnica che noi adottiamo e consiste nei seguenti tempi chirurgici:
– si afferra il bordo libero della corda vocale con una micropinza triangolare o “coccodrillo” e si procede alla cordotomia mediante un microbisturi lanceolato; l’incisione dell’epitelio cordale viene eseguita in prossimità del ventricolo laringeo e si estende per tutta la lunghezza della corda, dall’estremità anteriore dell’apofisi vocale fino a giungere in prossimità della commessura glottica anteriore, da cui in ogni caso bisogna tenersi a debita distanza ( 3 mm., per evitare la formazione di sinechia della commessura). Attraverso la breccia operatoria viene rimosso il mixedema contenuto nello spazio di Reinke mediante un microaspiratore con suzione a bassa intensità. Eventuali residui possono essere distaccati mediante uno scollatore smusso o un piccolo batuffolo di cotone montato su una pinza “coccodrillo”, con un’azione di “spremitura” del gel mucoso (fig. 21). Nei casi di edema di Reinke inveterato e di consistenza particolarmente solida, bisogna porre molta attenzione nell’asportazione del mixedema, in quanto la degenerazione pseudo-mixomatosa può interessare, oltre lo strato superficiale della lamina propria (spazio di Reinke), anche lo strato intermedio e (raramente) profondo. Questi ultimi compongono il legamento vocale, per cui la loro asportazione anche parziale provoca un grave danno alla funzione vibratoria della corda vocale. A questo punto con le microforbici si procede alla resezione dell’epitelio in eccesso e infine si riaccollano i due margini di incisione dell’epitelio, utilizzando colla di fibrina diluita.
Le corde vocali possono essere trattate contemporaneamente (contrariamente alla tecnica dello “stripping”), fatta eccezione per quei casi in cui c’è la necessità di giungere in stretta vicinanza della commessura glottica anteriore e/o sono presenti aree di epitelio cordale leucoplasico, che devono essere asportate e sottoposte ad esame istologico; in tali casi, per evitare la formazione di sinechie commisurali o di cicatrici cordali, l’intervento va condotto in due tempi, a distanza di almeno tre mesi uno dall’altro . Anche in questo caso sono utili sia il riposo vocale che la terapia logopedica post-operatoria.
Il trattamento delle cicatrici cordali (nella maggior parte dei casi iatrogene) è uno dei problemi più difficili che il fonochirurgo si trova ad affrontare, o forse il più difficile, come ha affermato Isshiki (1989).
L’obiettivo principale da raggiungere è il ripristino di un epitelio cordale elastico e di uno strato superficiale della lamina propria che possa permettere lo scorrimento dell’epitelio cordale sugli strati intermedio e profondo della lamina propria (che costituiscono il legamento vocale).
Altro fattore determinante per la generazione dell’onda mucosa glottica è una fase di chiusura glottica completa durante la vibrazione fonatoria. La riduzione dell’insufficienza glottica può essere ottenuta sia mediante chirurgia della struttura laringea (tiroplastica) (Isshiki, 1980), sia mediante iniezioni o impianti intracordali, mentre il ripristino dello strato superficiale della lamina propria può essere ottenuto solo con tecniche fonochirurgiche endoscopiche.
A seconda della severità della lesione, lo scollamento dell’epitelio dal legamento vocale può essere ottenuto mediante diverse tecniche fonochirurgiche. Nei casi di lievi aderenze cicatriziali può essere sufficiente una iniezione di idrocortisone al di sotto dell’epitelio cordale, con un’idrodissezione dello spazio di Reinke. Tale procedura è identica a quella che viene impiegata nella vergeture superficiale. In caso di ipotrofia del muscolo vocale, come si verifica nella maggior parte dei casi di cicatrice cordale iatrogena, si associa una iniezione intracordale di grasso autologo o, in soggetti molto magri, di collagene.
Tale intervento può essere eseguito sia mediante micro-fonochirurgia in anestesia generale, sia mediante fonochirurgia fibroendoscopica in anestesia locale (Ricci Maccarini et Al, 2005).
Nei casi in cui l’idrodissezione non riesca ad ottenere lo scollamento dell’epitelio (cicatrici cordali di grado moderato), la “liberazione della mucosa” può essere ottenuta mediante la tecnica microchirurgica di Bouchayer (1992).
Tale tecnica è identica a quella che viene impiegata nel trattamento della vergeture profonda, precedentemente descritta (fig.19).
Se il legamento vocale è deiscente o assente, bisogna cercare di creare un maggiore strato di separazione tra epitelio e muscolo, mediante applicazione di colla di fibrina poco diluita (50%) nella tasca che si viene a realizzare dopo lo scollamento dell’epitelio dal muscolo vocale. I casi di cicatrice cordale severa sono solitamente conseguenti ad interventi di cordectomia di tipo III (transmuscolare) o IV (sottopericondrale) (Remacle et Al,2000), mentre la cordectomia di tipo I (subepiteliale) o II (subligamentosa) possono provocare cicatrici di grado lieve o moderato.
Nel tipo III (transmuscolare) può essere sufficiente la riduzione dell’insufficienza glottica mediante iniezione intracordale di materiali riassorbibili come il grasso autologo, il collagene o l’acido ialuronico, eseguibili anche in fibroendoscopia, o di materiali non riassorbibili come il polidimetilsilossano (Vox Implants). L’iniezione intracordale di grasso autologo può essere effettuata anche contestualmente alla cordectomia di tipo III; tale procedura garantisce il recupero immediato della competenza glottica e non interferisce con il follow-up oncologico, in quanto il grasso è radiotrasparente e aumenta solo le dimensioni dello spazio paraglottico. Nel tipo IV o V (tipo IV con resezione anche della falsa corda o altro tessuto laringeo) la riduzione dell’ampia insufficienza glottica può essere realizzata con tecniche esterne come la tiroplastica di tipo I con Gore-Tex (Zeitels et Al, 2000) o con tecniche endoscopiche, come l’iniezione di Vox Implants (Bergamini, et Al. 2005) o gli impianti endolaringei di cartilagine autologa, proposti da Glanz (Glanz, 2005). Il nostro protocollo di trattamento prevede in questi casi un iniziale approccio endoscopico mediante iniezione di collagene o di Vox Implants nella neocorda cicatriziale e l’iniezione di grasso nella corda controlaterale, eseguita in microlaringoscopia diretta. Nella neocorda non è possibile iniettare il grasso autologo poiché nel tessuto cicatriziale viene a mancare l’apporto vascolare indispensabile per la sopravvivenza degli adipociti . Nei casi in cui tale intervento non riesca a ridurre l’insufficienza glottica in modo soddisfacente, eseguiamo un intervento combinato di tiroplastica con impianto di Gore-Tex associato ad un’iniezione di grasso nella corda controlaterale in fibroendoscopia (Ricci Maccarini et Al, 2005). L’intervento viene eseguito in anestesia locale, in modo da avere un controllo diretto dell’entità della riduzione dell’insufficienza glottica mediante fibrolaringostroboscopia. Trattamento della monoplegia laringea mediante laringoplastica iniettiva
Nelle monoplegie laringeee la fonochirurgia viene proposta quando la terapia logopedica non riesce a migliorare sufficientemente la chiusura glottica durante la vibrazione fonatoria, mediante una iperadduzione della corda mobile controlaterale. Tale evenienza riguarda i casi in cui la corda si sia fissata (per paralisi ricorrenziale e/o per anchilosi dell’articolazione crico-aritenoidea) in una posizione laterale o intermedia. Nei casi di corda in posizione paramediana la terapia logopedica è quasi sempre in grado di risolvere il problema vocale; il problema della voce non sussiste nei rari casi di paralisi in posizione mediana. La scelta tra laringoplastica per via esterna e laringoplastica iniettiva per via endoscopica non dipende dalla posizione della corda fissa, ma dall’epoca di insorgenza della monoplegia laringea e dalle esigenze del paziente. La laringoplastica di medializzazione cordale per via esterna viene proposta a distanza di almeno un anno dalla comparsa della paralisi cordale (o nel caso in cui il nervo ricorrente sia stato sicuramente sezionato) e nei pazienti che desiderano un risultato stabile nel tempo. La medializzazione cordale mediante laringoplastica iniettiva può essere effettuata anche poco tempo dopo la comparsa della paralisi, se la terapia logopedica non riesce a ridurre sufficientemente la disfonia (e soprattutto la fatica fonatoria), in particolare nei professionisti della voce.
In questi casi per l’iniezione intracordale vengono utilizzati materiali riassorbibili costituiti dal grasso autologo o dal collagene (nei soggetti molto magri); in caso di ripresa della motilità della corda vocale, il materiale iniettato non crea problemi per la vibrazione glottica, migliorando al contrario l’ipotrofia del muscolo vocale che è sempre presente in questi casi. Per l’iniezione intracordale di grasso autologo (o di collagene) nella monoplegia laringea può essere utilizzata la tecnica fibroendoscopica o la tecnica microlaringoscopica. E’ preferibile impiegare la tecnica fibroendoscopica, poiché eseguita in anestesia locale (in day surgery) e permette il controllo intraoperatorio degli effetti della medializzazione cordale sulla chiusura glottica. La laringostroboscopia intraoperatoria può indicare la necessità di un’ulteriore iniezione nella stessa corda o anche nella corda controlaterale (se quest’ultima è ipotrofica). Il punto di iniezione principale è nel terzo posteriore della corda fissa, lateralmente al processo vocale dell’aritenoide, in modo che quest’ultimo ruoti medialmente e che il materiale si diffonda verso la parte antero-laterale della corda (fig.14, punto 1). Per ottenere un’efficace rotazione mediale del processo vocale, quest’ultimo viene spinto verso la linea mediana dall’ago endoscopico durante l’iniezione intracordale (sia in fibroendoscopia che in microlaringoscopia). Se permane un inarcamento della corda vocale, si esegue una seconda iniezione nel terzo medio, tra la corda e il pavimento del ventricolo laringeo (fig.23, punto 2). Tale punto di iniezione viene utilizzato anche nelle ipotrofie cordali, spesso associate a vergeture o a cicatrici (come descritto precedentemente).
Il grasso autologo e il collagene ( il più utilizzato è di origine bovina) si riassorbono in una percentuale che va dal 30 al 50%, per cui è necessario iniettare una quantità di materiale in eccesso (generalmente doppia) rispetto a quella richiesta per una medializzazione cordale completa.
Nei casi in cui si verifichi un riassorbimento eccessivo del grasso a distanza di alcuni mesi dall’iniezione, proponiamo una seconda iniezione di grasso (che solitamente risolve definitivamente il problema), l’iniezione di un materiale non riassorbibile (Vox Implants) o la laringoplastica per via esterna con protesi di Montgomery.
L’iniezione di un materiale non riassorbibile (così come la laringoplastica per via esterna), può essere effettuata a distanza di un anno dalla comparsa della paralisi. Il materiale per iniezione intracordale non riassorbibile che attualmente viene maggiormente utilizzato è il polidimetilsilossano (Vox Implants) (Bergamini et Al, 2005).
I vantaggi del suo utilizzo sono rappresentati dalla stabilità nel tempo dei risultati, dalla non necessità di ipercorrezione e dalla velocità di esecuzione. Gli svantaggi sono costituiti dalla necessità dell’anestesia generale (per una massima precisione dell’intervento e la prevenzione dell’eventuale caduta di materiale nelle vie aeree inferiori, garantita dal tubo cuffiato), dalla possibilità di irrigidimento della corda con riduzione dell’ondulazione della mucosa (se il materiale non è stato iniettato sufficientemente in profondità), dal rischio di dislocazione del materiale a distanza di tempo dall’iniezione, dalla possibilità (remota) di reazioni tardive da corpo estraneo e dal costo del materiale (sovrapponibile a quello di una protesi di Montgomery per laringoplastica di medializzazione).
L’iniezione del Vox Implants va effettuata nel terzo posteriore della corda, nella parte profonda del muscolo vocale, a ridosso della cartilagine tiroide.
Fonochirurgia della struttura laringea
Questa tecnica fonochirurgica comprende una serie di procedure che sono finalizzate a correggere la posizione e/o lo stato di tensione delle corde vocali senza intervenire direttamente sulle corde vocali stesse. Essa viene di norma eseguita in anestesia locale, permettendo il controllo intraoperatorio delle variazioni della voce e, mediante la fibrolaringostroboscopia, delle variazioni anatomo-funzionali della glottide.
Isshiki (1974) ideatore di questa branca della fonochirurgia, ha codificato quattro varianti della procedura, che denominò “tiroplastica”:
– Tiroplastica di tipo I: tiroplastica di medializzazione cordale
– Tiroplastica di tipo II: tiroplastica di lateralizzazione cordale
– Tiroplastica di tipo III: tiroplastica di detensione cordale
– Tiroplastica di tipo IV: tiroplastica di tensionamento cordale
Isshiki stesso inoltre propose il termine di chirurgia della struttura laringea volendo con ciò indicare l’intero gruppo di procedure fonochirurgiche in grado di determinare modificazioni della laringe con interventi diretti non solo sulla cartilagine tiroide ma anche sulla cricoide e sulle aritenoidi (Isshiki, 1980, 1989, 2000).
La chirurgia strutturale laringea ha avuto un grande sviluppo negli Stati Uniti ad opera soprattutto di Koufman (1986) e Tucker (1985) che hanno introdotto il termine di laringoplastica.
Il diffondersi di queste tecniche e l’introduzione di varianti, come ad esempio ad opera di Montgomery (1993,1997) e di Mahieu (1996,1997) ha portato alla comparsa di nuovi termini che in alcuni casi possono avere generato confusione. Allo scopo di riunire tutti gli interventi e tutte le denominazioni che si sono aggiunte nel tempo, Friedrich e Coll.(2001), hanno recentemente proposto una revisione della classificazione e della nomenclatura della chirurgia strutturale laringea per conto della Commissione Fonochirurgica della Società Europea di Laringologia. Anch’essi hanno mantenuto 4 categorie:
– Laringoplastica di approssimazione, per correggere una insufficienza glottica
– Laringoplastica di espansione, per correggere una iperadduzione cordale
– Laringoplastica di rilassamento, in caso di tensioni patologiche delle corde vocali o per voci con tonalità marcatamente acuta
– Laringoplastica di tensione, per correggere lassità patologiche delle corde vocali o tonalità vocali marcatamente basse.
La tiroplastica o “laringoplastica per via esterna” che viene più frequentemente eseguita è la laringoplastica di medializzazione cordale (tiroplastica di tipo I e trova indicazione nel trattamento della monoplegia laringea e negli esiti di cordectomia totale. L’altro tipo di laringoplastica che viene eseguito con una certa frequenza è l’approssimazione crico-tiroidea (tiroplastica di tipo IV), che trova indicazione soprattutto nella elevazione della tonalità della voce nei transessuali. Gli altri due tipi di tiroplastica non vengono praticamente mai eseguiti in Italia. Descriveremo quindi la laringoplastica di medializzazione cordale e l’approssimazione crico-tiroidea.
LARINGOPLASTICA DI MEDIALIZZAZIONE CORDALE
L’intervento consiste nel realizzare una finestra nello scudo tiroideo attraverso la quale possa essere introdotto un impianto di silicone, titanio o Gore-Tex, che medializza la corda vocale paralizzata. La tecnica originale di Isshiki (1980) prevede l’impianto di una protesi in silicone che viene intagliata dal chirurgo ed inserita in una finestra realizzata nella cartilagine tiroide (fig 15). La protesi è sagomata a cuneo, con una parte esterna che corrisponde alla finestra nella cartilagine ed una ala posteriore che medializza il processo vocale dell’aritenoide. Una volta inserita nella laringe, la protesi viene suturata alla cartilagine tiroide.
Nel 1993 Montgomery e Coll. hanno proposto un diverso tipo di impianto che, a differenza del silicone scolpito a mano, è in Sylastic già preformato e consente di accelerare i tempi e di ottimizzare i risultati.
A differenza della tecnica di Isshiki, la finestra cartilaginea viene asportata e il pericondrio interno viene inciso (fig. 16). Il chirurgo può scegliere tra 5 tipi di protesi (5 maschili e 5 femminili) che si differenziano per le dimensioni della parte interna atta a medializzare la corda, mentre la parte esterna che si inserisce nella finestra cartilaginea è standard:
Al posto dell’impianto in silicone può essere utilizzato un impianto preformato in titanio, come proposto da Friedrich (2001) o un impianto costituito da una striscia di Gore-Tex, usualmente impiegata in chirurgia vascolare (fig17). Questa tecnica, proposta da Zeitels (2000) è particolarmente indicata negli esiti di cordectomia totale, in cui la mucosa della neocorda è fragile e necessita una medializzazione graduale e delicata.
LARINGOPLASTICA DI TENSIONAMENTO CORDALE
L’intervento maggiormente eseguito è l’approssimazione crico-tiroidea secondo Isshiki (1980) che consiste nel suturare la cartilagine cricoide alla cartilagine tiroide, simulando una contrazione massima del muscolo crico-tiroideo che tende le corde vocali elevando la tonalità della voce (fig. 18)
Fonochirurgia fibroendoscopica
Questa tecnica fonochirurgica è stata proposta dal gruppo CELF di Santander (Spagna) (Diaz et Al, 1999) e sviluppata in Italia da De Rossi e Ricci Maccarini (2009). Come la laringoplastica per via esterna viene eseguita in anestesia locale, permettendo il controllo intraoperatorio dei risultati dell’intervento mediante la fibrolaringostroboscopia (De Rossi et Al, 2008). Viene utilizzato un fibroscopio operativo corto (23 cm.), all’interno del quale vengono inseriti strumenti endoscopici come pinze, forbici e aghi (fig. 19).
Le principali indicazioni della fonochirurgia fibroendoscopica sono:
– la laringoplastica e la faringoplastica iniettiva
– l’iniezione di tossina botulinica nelle corde vocali
– l’iniezione di cidofovir nella laringe
– l’asportazione di polipi cordali peduncolati
– l’asportazione di neoformazioni laringee con laser a diodi
– l’asportazione o la biopsia di lesioni laringee nei casi in cui la laringosospensione in anestesia generale è controindicata
La laringoplastica iniettiva in fibroendoscopia ha il vantaggio, nei confronti della procedura inmicrolaringoscopia, di permettere la valutazione intraoperatoria dei risultati sul piano anatomico ed acustico dell’aumento volumetrico della zona iniettata. Con questa tecnica tuttavia si possono iniettare solo materiali riassorbibili come il grasso, il collagene e l’acido ialuronico, mentre per l’iniezione di materiali non riassorbibili come il polidimetilsilossano (Vox Implants) è necessario impiegare la tecnica microlaringoscopica in anestesia generale, che garantisce una maggior precisione nell’iniezione (corde immobili e deglutizione assente) ed un facile recupero del materiale eventualmente fuoriuscito dalla sede di iniezione.La laringoplastica iniettiva con grasso autologo in fibroendoscopia (Borragan et Al., 2002; ricci Maccarini et Al. 2005) rappresenta per noi la procedura di prima scelta nel trattamento della monoplegia laringea e della ipotrofia cordale; i punti di iniezione sono identici a quelli utilizzati nella micro-fonochirurgia. Si utilizza un’ago endoscopico di 23 Gauge ed una pistola ad alta pressione (fig.20).
La faringoplastica iniettiva con grasso autologo in fibroendoscopia è per noi la procedura di prima scelta nel trattamento dell’insufficienza velo-faringea; i punti di iniezione sono la plica di Passavant nella parete posteriore della faringe a livello dello sfintere velo-faringeo e (raramente) la parete posteriore del palato molle.L’iniezione fibroendoscopica di tossina botulinica per il trattamento della disfonia spasmodica, ha il vantaggio, nei confronti della procedura per via trans-cutanea attraverso la membrana crico- tiroidea, di potere vedere esattamente il punto di iniezione nella corda vocale (di norma il terzo medio del muscolo vocale); viene impiegato un ago-elettrodo che permette l’effettuazione dell’elettromiografia laringea e l’iniezione di tossina botulinica.L’iniezione fibroendoscopica di cidofovir nella laringe per il trattamento e la prevenzione delle recidive di papillomatosi laringea, se effettuata in fibroendoscopia, permette di evitare un ulteriore ricorso all’anestesia generale. L’asportazione di polipi cordali in fibroendoscopia è una procedura relativamente semplice se la neoformazione cordale è peduncolata: si inietta mediante un ago endoscopico di 25 Gauge adrenalina diluita e lidocaina nella base di impianto della lesione, si seziona parzialmente il peduncolo e si asporta il polipo con le pinze endoscopiche. Per il trattamento di neoformazioni laringee con il laser a diodi ( papillomi, granulomi…) si utilizza una fibra ottica che viene inserita nel canale operativo del fibroscopio e messa in contatto con la lesione. Nei casi in cui la tecnica in laringosospensione è controindicata per motivi anatomici o di salute generale la tecnica fibroendoscopica può essere utilizzata sia per effettuare ampie biopsie di lesioni sospette (mediante forbici e pinze) sia per asportare lesioni che di norma rappresentano una indicazione elettiva per la micro-fonochirurgia, come i noduli e le cisti cordali. In questo caso è necessaria una notevole esperienza ed abilità da parte dell’operatore.
Tratta da: Da “Clinica della Voce, riconoscere e curare i disturbi della fonazione” Collana “Quadri”, Edizioni Libreria Cortina, Torino 2009.TECNICHE DI FONOCHIRURGIA Andrea Ricci Maccarini*, Massimo Magnani*, Flavio Pieri*, Marco Stacchini*, Giovanni De Rossi**, Delfo Casolino**
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Appropriatezza nella rimediazione protesica acustica nell’anziano
[vc_row][vc_column][vc_column_text]Le protesi acustiche hanno un ruolo determinante nella riabilitazione uditiva della presbiacusia al fine di migliorare la capacità comunicativa e di minimizzare i sintomi correlati quali isolamento e depressione. Nonostante questo, molte persone con ipoacusia non usufruiscono di protesi acustiche(1) e vari studi indicano che di quelli che considerano avere una perdita uditiva o che oggettivamente l’hanno, solamente dal 14 al 31 % sono protesizzati(2, 3, 4). I fattori ritenuti più importanti alla base di questo rifiuto sono l’insufficiente beneficio e la scomodità nell’ indossarle (5). Una considerazione importante che possa giustificare la difficoltà che le protesi acustiche, nonostante gli enormi progressi tecnologici hanno nel compensare il deficit uditivo riguarda la stessa fisiopatologia delle perdite neurosensoriali(6 ). Di fatto queste ultime presentano alcune caratteristiche fisiopatologiche che rendono complicata l’elaborazione amplificata del messaggio:
– Diminuzione della sensibilità uditiva
– Riduzione del range dinamico
– Riduzione della risoluzione frequenziale
– Riduzione della risoluzione temporale
Diminuzione della sensibilità uditiva
Comporta una difficoltà di comprensione oltre che per l’abbassamento di soglia anche perché parte di alcuni fonemi non sono udibili. Questo è legato alla caratteristica che la differenziazione fra fonemi simili sia dovuta più che alla prima formante alla seconda formante che normalmente ricade nelle frequenze oltre i 1000 Hz che sono quelle più frequentemente coinvolte nella perdita di udito. Questo comporta evidentemente una difficoltà di comprensione (Fig.1)
Riduzione del range dinamico
Una delle caratteristiche delle ipoacusie neurosensoriali è legata alla riduzione della differenza fra soglia di minima udibilità e soglia fastidio, per cui la nostra capacità uditiva è in grado di recepire solo i suoni da moderati ad intensi con un buon comfort. In caso di protesizzazione acustica, perché i suoni ambientali ricadano nel range dinamico del paziente ipoacusico, l’amplificazione dei suoni deboli deve essere maggiore di quella dei suoni intensi. Questo appiattimento di intensità in un minore range dinamico è chiamata compressione (Fig. 2).
Riduzione della risoluzione frequenziale
La perdita da parte delle cellule ciliate esterne di “tuning” cocleare non permette alla coclea di trasmettere alle aeree corticali segnali ben differenziati in frequenza. Questo evidentemente comporta che l’envelope di frequenze contigue non permette una corretta discriminazione fonemica (Fig.3).
Riduzione della risoluzione temporale
Questa funzione è particolarmente deteriorata nelle persone anziane. E’ legata all’incapacità della coclea a compensare il fisiologico mascheramento di suoni forti su quelli più deboli, che immediatamente precedono o seguono (mascheramento temporale), aumentando la sensibilità delle aree mascherate. Questo mascheramento temporale avviene in maniera maggiore nei pazienti con perdita neurosensoriale rispetto a quelli con udito normale e quindi influenza negativamente l’intellegibilità del parlato. L’aumento di mascheramento temporale è verosimilmente causato dall’impossibilità della coclea del soggetto ipoacusico ad incrementare la sua sensibilità quando cessa il suono di mascheramento come avviene nella coclea normale. (Fig.4)
Cosa intendiamo per appropriatezza della rimediazione acustica?
L’insieme degli atti che garantiscono la «best practice» per la rimediazione uditiva. Questi rientrano in un iter complesso che coinvolge più figure professionali in uno scambio di collaborazioni continue legate alla natura dinamica, e molto spesso evolutiva, della patologia ed alle necessità riabilitative.
I risultati di un buon guadagno protesico si valutano in termini di ascolto e qualità della vita agendo sugli effetti primari e secondari dell’ipoacusia (7) :
– Ripristino della funzione uditiva (percezione, localizzazione, pitch, loudness e qualità dei suoni)
– Risoluzione o miglioramento delle limitazioni nelle attività e delle restrizioni alla partecipazione alla vita sociale e lavorativa (difficoltà a: ricevere messaggi verbali, impegnarsi efficacemente in conversazioni, apprendere attraverso l’ascolto, svolgere lavori remunerativi, impegnarsi in varie attività ricreative, partecipare alle funzioni religiose).
Quando protesizzare?
Questo argomento è stato oggetto di svariate ipotesi il più delle volte legato a criteri meramente audiometrici. In quest’ottica, alcuni Autori riportano come limite protesizzabile una PTA nell’orecchio migliore maggiore di 25 dB HL o PTA maggiore di 35 dB nell’orecchio migliore o 45 dB nel peggiore quando combinata con una differenza interaurale da 15 a 35 dB (8).
E’ evidente che in una fase preliminare di decisione tale approccio sia arbitrario per il gran numero di fattori che influenzano la decisione e perché non sappiamo come misurarli al meglio né il peso che rivestono in ciascun individuo. Vi sono stati molti tentativi per prevedere il beneficio protesico combinando statisticamente un ampio range di fattori misurabili prima del fitting, oltre la soglia uditiva, come l’età, le difficoltà uditive riferite, le abilità cognitive, il livello di scolarizzazione, la salute in generale, le reazioni al rumore di fondo, la condizione visiva e le aspettative. Sfortunatamente, mentre varie misure di successo protesico si correlano con alcuni di questi predittori, nessuna combinazione è sufficientemente accurata per prevedere la reale soddisfazione individuale.
Vi sono due aspetti generali relativi alla domanda se un individuo potrà beneficiare di una protesi acustica:
È sufficientemente ipoacusico?
E’ troppo ipoacusico?
Alla prima domanda non si può rispondere con la sola valutazione audiometrica
Alla seconda bisognerà valutare se la persona potrà beneficiare maggiormente con una protesi acustica o con altri devices quali impianto cocleare, impianto ibrido, impianto dell’orecchio medio, impianto ancorato all’osso o protesi tattile.
La valutazione clinica pre-fitting
E’ un processo articolato (Fig.5) che dovrà tener conto della valutazione audiometrica, dell’attitudine ad ottenere una protesi acustica e le motivazioni per questa, un’attenta analisi e valutazione delle disabilità e non ultimo un accurato counselling.
Valutazione quantitativa e qualitativa della perdita di udito
Una valutazione quantitativa e qualitativa della perdita uditiva deve tener conto delle seguenti caratteristiche:
- Entità
- Configurazione
- Tipo
- Andamento temporale
Un iter clinico di base per la valutazione audiologica a fini protesici deve prevedere:
- Anamnesi dettagliata e mirata
- Esame obiettivo ORL
- Audiometria tonale
- Audiometria vocale (eventualmente con mascheramento e/o competizione)
- Impedenzometria
- Soglia fastidio (UCL)
- Livello di rumore accettabile (ANL)
Al fine di un più completo inquadramento clinico se necessario, il paziente potrà essere sottoposto a:
- Potenziali evocati
- Emissioni otoacustiche
- TEN Test
Audiometria tonale
L’esame audiometrico tonale come unico indicatore rappresenta un esame poco affidabile. Infatti, sono stati vari i tentativi per trovare il grado di ipoacusia audiometrica tonale per definire il paziente che potrebbe beneficiare di una protesi acustica: tutti si sono rivelati un clamoroso insuccesso. Diminuzione di selettività frequenziale, risoluzione spaziale e temporale sono solo parzialmente correlate con il grado di perdita uditiva rilevata dall’audiogramma.
In ogni caso, l’audiogramma tonale è un ottimo indicatore del danno uditivo, un indicatore accettabile delle limitazioni di attività ma un pessimo indicatore delle restrizioni alla partecipazione.
Infatti la percentuale di reale utilizzo non è correlabile alla media tonale della perdita uditiva (Fig.6)
Audiometria vocale
Anche questo test ha scarso valore predittivo perché i risultati sono strettamente legati alle condizioni dell’esame (intensità dello stimolo, livello del rumore, disposizione spaziale delle casse, riverbero, difficoltà intrinseca del materiale vocale) .
In condizioni rigidamente controllate, se il candidato non raggiunge la soglia di percezione o ha una scarsa discriminazione vocale nel rumore, ne potremmo dedurre che le capacità di recupero saranno scarse (9), di contro i pazienti con scarsa discriminazione vocale in quiete hanno una migliore accettazione della protesi rispetto ai pazienti con migliore discriminazione vocale (10). L’audiometria vocale nel rumore e/o competizione può essere utilizzata anche per confrontare i risultati dopo applicazione proteica. Non necessariamente ciò deve essere considerato una controindicazione specifica alla protesi, ma devono essere chiari gli obiettivi:
- Migliorare la lateralizzazione dei suoni
- Riequilibrare la funzione uditiva
- Accettare un “compromesso” per la comprensione del parlato
Soglia del fastidio (UCL)
Fondamentale per la definizione del campo dinamico e quindi per la regolazione del guadagno e dell’uscita massima dell’apparecchio acustico.
Per la determinazione della soglia del fastidio possiamo far riferimento fondamentalmente a quattro metodiche:
– Valutazione sovraliminare (tonale, rumore a banda stretta o stimoli verbali)
– Curve di crescita della loudness soggettiva
– Tabelle previsionali
– Riflesso Stapediale
Valutazione sovraliminare
Viene eseguita somministrando al paziente stimoli tonali, rumore a banda stretta o stimoli verbali come parole o frasi e chiedendogli di valutarla sulla base di sette livelli descrittivi (test Contour) (11):
- Troppo forte, fastidioso
- Forte, ma ok
- Confortevole, appena un po’ forte
- Confortevole
- Confortevole, ma leggermente debole
- Debole
- Molto debole
Curve di crescita della loudness soggettiva e tabelle previsionali
Si basano su valutazioni previsionali statistiche su larghi campioni che tengono conto del grado di perdita uditiva (Fig.7 e Fig. 8).
Riflesso stapediale
La soglia del riflesso stapediale ci da informazioni utilissime circa il recruitment (test di Metz) e sulla soglia UCL che viene considerata a circa 15 dB al di sopra della soglia del riflesso stesso (Fig. 9).
Anche in questo caso la variabilità del dato non ci permette ad arrivare a conclusioni oggettive.
Livello di rumore accettabile (ANL)
L’ANL (12) valuta il successo dell’uso degli apparecchi acustici attraverso la tollerabilità del rumore durante l’invio di un segnale sonoro. Ovviamente un buon risultato è indice di una buona probabilità di successo protesico.
Durante un test di audiometria vocale, al paziente viene somministrato attraverso il secondo canale dell’audiometro, un rumore di fondo la cui intensità viene aumentata fin quando il paziente è ancora in grado di capire le parole al suo livello di comfort (MCL).
Aspetti extrauditivi
Possono influenzare la prognosi e richiedono ulteriore attenzione e consulenza da parte di altre figure professionali.
Gli aspetti da valutare riguardano:
– Livello cognitivo
– Personalità (motivazione, aspettative, propensione al rischio, assertività)
– Disabilità sensoriali associate (destrezza manuale, acuità visiva)
– Precedente esperienza con amplificazione acustica
– Stato di salute generale
– Altre condizioni otologiche (acufeni).
Non vanno sottovalutate le esigenze lavorative e le abitudini ricreative nonché la presenza di sistemi di supporto (amici, famiglia, etc.)
Attitudine e motivazione
Tra i fattori più forti che influenzano il beneficio protesico più della stima di soglia vi sono l’attitudine e la motivazione, risultanti da fattori positivi e negativi. Una rappresentazione grafica efficace può essere ottenuta sulla base di un Health Belief Model (Fig. 10) dove le variabili vengono rappresentate in un continuum. I fattori sulla destra incoraggiano una persona ad acquisire una protesi acustica mentre i fattori sulla sinistra sono quelli che maggiormente la scoraggiano. Evidentemente la bilancia penderà dal lato del peso maggiore considerando che i fattori centrali finiscono per essere quelli chiave perché la decisione propenda verso una o l’altra scelta. Naturalmente il peso di questi fattori può essere variato sulla base di un accurato counselling. Quest’ultimo rappresenta una fase fondamentale per fornire al paziente una completa panoramica riguardo gli effetti dell’ ipoacusia e le modalità più efficaci nel ridurre tali effetti.
Gli aspetti da affrontare sono legati fondamentalmente a problematiche relative al paziente ed all’uso della protesi.
Fra le prime: favorire la confidenza con la propria situazione audiologica e comunicativa, fornire nozioni di anatomia di base del sistema uditivo e delle perdite uditive, le problematiche della percezione nel rumore, comportamenti comunicativi appropriati ed inappropriati e gestione dello stress.
Per quanto attiene alla corretta gestione della protesi, è importante fornire al paziente concetti tecnici legati alle caratteristiche della protesi, all’accensione e spegnimento, alla gestione delle batterie, alla cura e pulizia, alla garanzia, nonchè alla riparazione e sostituzione, interfaccia con altre apparecchiature (telefono, tv, wifi, ecc.), gestione della protesi in rapporto all’ambiente sonoro. Il paziente dovrà inoltre essere istruito sulla necessità di un periodo di acclimatazione.
Analisi e valutazione delle disabilità: questionari psicodiagnostici
Come evidenziato precedentemente, un buon risultato protesico non può dipendere unicamente da misure audiometriche.
A causa delle tante differenze che incidono sul risultato, è evidente che pazienti diversi, a parità di audiometria tonale, avranno soluzioni e benefici diversi.
Il “metodo” di misura della predizione del beneficio deve tener conto dell’effetto che l’ipoacusia ha sulle limitazioni dell’attività e sulle restrizioni della partecipazione alla vita sociale e quindi sulla qualità della vita.
In ogni caso, un corretto fitting protesico non ci garantisce che il paziente non decida successivamente di rinunciare alla protesi.
Allo scopo di valutare questi parametri sono stati introdotti nella pratica clinica vari test psicometrici fondamentali per valutare il grado di handicap legato all’ipoacusia e quindi le reali necessità (13). Alcuni di questi test sono stati anche modificati per essere compilati da un consorte, un amico o un membro della famiglia che spesso hanno una percezione più realistica della perdita uditiva rispetto dalla persona affetta.
Tra i più diffusi: l’Hearing Handicap Inventory For Adults (HHIA), (http://www.audiologist.org/_resources/documents/diabetes/Hearing%20Handicap%20Inventory%20For%20Adults%20(HHIA).pdf) , l’Hearing Handicap Inventory For The Elderly (HHIE) (http://www.earaudiology.com/hhie.pdf) , l’Abreviated Profile Of Heairing Aid Benefict (APHAB) (http://www.harlmemphis.org/files/5613/4618/0930/ITALIAN.pdf) e la Client Oriented Scale Of Improvement (COSI) (https://www.nal.gov.au/wp-content/uploads/sites/3/2016/11/COSI-Questionnaire.pdf) .
Tutti questi test offrono un approccio strutturato ad assicurare una valutazione completa pre fitting (14, 15) che misuri le reali difficoltà uditive nella vita di tutti i giorni da prospettive diverse. Alcuni dei questionari sono a risposta chiusa mentre altri a risposta aperta.
Tra quelli a risposta chiusa, l’HHIE e l’APHAB che sono sformulati per una prima valutazione delle necessità e quindi per determinare l’entità del beneficio protesico. Il questionario HHIE, che valuta il livello di handicap nelle persone anziane, partendo dal presupposto che pari livelli di deficit uditivo non corrispondono ad analoghi livelli di handicap, prevede 3 opzioni di risposta (si, talvolta, no), con un punteggio finale che indirizza verso una sfera emotiva o sociale. Per ogni categoria avremo 3 tipi di risultati che andranno da 0 a 20 punti: basso (0-4), medio (6-10), alto (12-20). Nel punteggio totale si possono ottenere invece punteggi da 0 a 40, dove raggiungere il massimo significa la presenza e consapevolezza dell’handicap e il minimo indica un’assenza di handicap o una non consapevolezza dello stesso. L’APHAB è un questionario costituito da 24 domande che vertono su problemi comunicativi ed i benefici ottenuti con l’utilizzo dell’apparecchio acustico. I dati ricavati forniscono indicazioni in 4 diversi campi quali:
-facilità nella comunicazione
-rumori di fondo
-difficoltà percettive
-riverbero
Il punteggio viene poi calcolato in base a 7 possibilità di risposta: sempre, quasi sempre, generalmente, la metà delle volte, ogni tanto, raramente e mai. Tra i questionari a risposta aperta i più utilizzati sono il COSI e l’ HHIA (16) .
La validità del COSI risiede prevalentemente nella partecipazione del paziente ad identificare le situazioni di ascolto dove ha difficoltà ed indicare perché queste situazioni a suo avviso sono problematiche.
Il paziente ed il clinico lavorano insieme per individuare fino a 5 situazioni, scelte tra 16, che la persona sente come le più influenzate dall’ipoacusia. Le stesse verranno poi riproposte dopo la protesizzazione dove si valuterà l’eventuale cambiamento.
Queste situazioni divengono, quindi, prioritarie e rappresenteranno gli obiettivi della strategia riabilitativa. Acquisire queste informazioni specifiche aiuta ad indirizzare le scelte della selezione e del fitting e può orientare verso strategie comunicative e tecnologiche aggiuntive. L’HHIA è, invece, un questionario comprendente 25 domande centrate particolarmente sulle reazioni emotive e sulle limitazioni sociali correlate alla perdita uditiva che vengono misurate in due sottoscale separate. Il paziente dovrà rispondere SI, NO, Talvolta, attribuendo un punteggio rispettivamente di 4,0,2. Lo score finale varia da 0 a 100 in funzione della significatività dell’handicap.
Verifica dell’adattamento
Dopo l’applicazione protesica risulta evidente effettuare una verifica dei risultati. Molte volte, tali risultati non sono quelli attesi in quanto è uso comune effettuare un fitting protesico utilizzando la prima opzione che viene resa dai software delle case costruttrici degli apparecchi acustici. Questa risulta essere una pratica comune nonostante molti studi concordano nel dire che un primo livello di fitting risulta essere spesso inadeguato (17) Nonostante numerosi autori dicano che le misure in situ siano necessarie ai fini protesici, meno del 50% dei clinici sono soliti effettuarle (18). Inoltre, chi esegue il primo fitting protesico programma la protesi acustica utilizzando l’algoritmo di prima applicazione. Misure in situ successive hanno dimostrato che circa il 36% degli adattamenti rispondevano nei limiti del +/- 10% dB a quanto prescritto dai targets del NAL-NL1/2 o DSLv5 (19). Ne consegue che gli algoritmi utilizzati come prima opzione nel fitting protesico, risultano essere un punto di partenza ma non possono assicurare una adeguato risultato ed un soddisfacente guadagno.
Conclusioni
La tecnologia consente di protesizzare praticamente ogni tipo di perdita; la discriminante però non può essere semplicemente il criterio audiometrico. E’ fondamentale un approccio sistematico, supportato dall’evidenza, che valuti non solo il deficit uditivo ma anche le concomitanti limitazioni sul piano delle attività e della partecipazione e, quindi, l’impatto sulla qualità della vita.
Bibliografia
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4) Hesse G. Hearing aids in the elderly. Why is the accommodation so difficult? HNO. 2004 Apr;52(4):321-8.
5) Abby McCormack & Heather Fortnum. Why do people fitted with hearing aids not wear them? International Journal of Audiology 2013; 52: 360–368
6) Brooks DN, Hallam RS. Attitudes to hearing difficulty and hearing aids and the outcome of audiological rehabilitation. Br J Audiol 1998; 32, 217-226
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8) Haggard M1, Gatehouse S. Candidature for hearing aids: justification for the concept and a two-part audiometric criterion. Br J Audiol. 1993 Oct;27(5):303-18.
9) Meister H, Lausberg I, Kiessling J, von Wedel H, Walger M. Identifying the needs of elderly, hearing-impaired persons: the importance and utility of hearing aid attributes. Eur Arch Otorhinolaryngol. 2002 Nov;259(10):531-4. Epub 2002 Jul 9.
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11) Cox RM, Alexander GC, Taylor IM, Gray GA. The contour test of loudness perception. Ear Hear. 1997 Oct;18(5):388-400.
12) Nabelek AK, Freyaldenhoven MC, Tampas JW, Burchfiel SB, Muenchen RA. Acceptable noise level as a predictor of hearing aid use. J Am Acad Audiol. 2006 Oct;17(9):626-39.
13) Hickson L1, Meyer C, Lovelock K, Lampert M, Khan A. Factors associated with success with hearing aids in older adults. Int J Audiol. 2014 Feb;53 Suppl 1:S18-27
14) Ventry IM, Weinstein BE. The hearing handicap inventory for the elderly: a new tool. Ear Hear. 1982 May-Jun;3(3):128-34.
15) Cox RM, Alexander GC . The abbreviated profile of hearing aid benefit. Ear Hear. 1995 Apr;16(2):176-86.
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17) Killion MC, Niquette PA, Gudmundsen GI, Revit LJ, Banerjee S. Development of a quick speech-in-noise test for measuring signal-to-noise ratio loss in normal-hearing and hearing-impaired listeners. J Acoust Soc Am. 2004 Oct;116(4 Pt 1):2395-405. Erratum in: J Acoust Soc Am. 2006 Mar;119(3):1888.
18) Mueller, H. Gustav; Picou, Erin M. Survey examines popularity of real-ear probe-microphone measures
Hearing Journal: May 2010 – Volume 63 – Issue 5 – pp 27-28,30,32
19) Aazh H, Moore BC. The value of routine real ear measurement of the gain of digital hearing aids. J Am Acad Audiol. 2007 Sep;18(8):653-64.
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Congresso Nazionale della SIO 2017
[vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]Si è quasi concluso il Congresso Nazionale della Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale nella splendida città di Sorrento (24-27 maggio 2017).
Contenuti scientifici ricchi e di qualità, relatori di fama nazionali ed internazionali.
Sicuramente tra le tante tematiche la Vestibologia ha rappresentato un ruolo di primo piano. Il prof. Scarpa ha partecipato in qualità di relatore al corso monotematico “Vertigine Emicranica” illustrando insieme al prof. Chiarella la patologia, l’eziopatogenesi, la clinica e la terapia secondo quelle che sono le ultime evidenze scientifiche.
Altro appuntamento imperdibile è stato quello in cui il prof. Thomas Brandt e la prof.ssa Marianne Dieterich
hanno illustrato i rapporti tra sistema vestibolare, memoria spaziale e cognitività e nuovamente la vertigine emicranica.
Altro ospite straniero, il francese Dumas,
ha parlato del test vibratorio su mastoide, del quale risulta l’inventore, raccontando l’utilità nella pratica clinica.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_video link=”https://youtu.be/jyz30PBSm_w” title=”Vertigine emicranica: Corso monotematico”][vc_separator][vc_video link=”https://youtu.be/zGA_jaLviGc” title=”Vestibular Migraine”][vc_separator][vc_video link=”https://youtu.be/vLp_dGsh460″ title=”Test Vibratorio”][vc_separator][vc_gallery type=”flexslider_slide” interval=”3″ images=”2254,2253,2252,2251″ img_size=”medium” title=”Foto”][/vc_column][/vc_row]
Intervista sulla vertigine parossistica posizionale
[vc_row][vc_column][vc_column_text]In trasmissione si parla di vertigine parossistica posizionale benigna: verrà effettuata anche la manovra liberatoria per riposizionare gli otoliti nella loro sede naturale.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
Normalità uditiva
[vc_row][vc_column][vc_column_text]
La normalità uditiva può essere definita in rapporto:
a) ad un valore assoluto di soglia audiometrica
b) all’età del soggetto
c) all’assenza di sintomatologia correlabile ad un deficit uditivo.
NORMALITA’ RISPETTO AD UN VALORE ASSOLUTO DI SOGLIA AUDIOMETRICA
Il giudizio viene posto definendo un valore di soglia massimo superato il quale un tracciato audiometrico non può più essere considerato normale.
Il livello di soglia cui fare riferimento deve essere uguale per tutto il campo tonale ed è sufficiente che la soglia superi tale valore, anche su una sola frequenza, per considerare patologico il reperto audiometrico. Il valore limite è pari a 20-25 dB HL.
La valutazione riferita ad un valore assoluto di soglia audiometrica deve essere applicata in ambito clinico nella descrizione della la morfologia della curva audiometrica.
Il reperto audiometrico, anche se compreso entro i 20-25 dB, potrà non essere considerato normale se:
- vi è una differenza di soglia tra le varie frequenze superiore a 10 dB;
- la soglia per via aerea si pone su valori più elevati rispetto a quella per via aerea (deficit trasmissivo).
NORMALITA’ RISPETTO ALL’ETA’
E’ noto che la soglia audiometrica tende progressivamente, con il passare degli anni, a peggiorare. Ne consegue che un tracciato patologico per un soggetto giovane può rientrare nella normalità per un soggetto anziano.
La normalità uditiva rispetto all’età deve pertanto essere intesa come giudizio di assenza di patologie diverse dalla presbiacusia, e non alla funzione uditiva in assoluto, che ne può risultare compromessa.
Il confronto dei valori audiometria con quelli attesi per la presbiacusia ha utilità in ambito clinico, al fine di definire se vi siano patologie diverse dall’età nella genesi del deficit uditivo, e in ambito medico-legale, per definire se un certo deficit uditivo sia compatibile o meno con l’età.
NORMALITA’ RISPETTO ALLA FUNZIONE UDITIVA
La presenza di un deficit uditivo non corrisponde necessariamente ad una sintomatologia soggettiva. Infatti, grazie ai fenomeni di ridondanza estrinseca ed intrinseca, vi è la possibilità che un deficit audiometrico non determini alcuna sensazione soggettiva di ipoacusia.
Osservazioni su tale aspetto hanno consentito di definire che fino ad una soglia media di circa 25 dB i soggetti affetti da trauma acustico cronico raramente riferiscono una sintomatologia riconducibile ad un deficit uditivo.
Applicando questa metodologia valutativa vengono ad essere considerate come normali tutte le condizioni di deficit uditivo di modesta entità, o limitate a frequenze estreme, che non giungono a determinare una sintomatologia soggettiva. Il criterio non prende in considerazione l’aspetto clinico ma solo quello funzionale; è pertanto possibile che una condizione patologica possa essere erroneamente considerata come normale.
La principale applicazione del criterio è in ambito medico-legale nella determinazione della presenza di un indebolimento del senso dell’udito.
In conclusione il concetto di normalità uditiva deve essere considerato non in termini assoluti ma deve essere relativo e riferito alla condizione di valutazione.
Da un punto di vista clinico, se si desidera definire la presenza o meno di una patologia in atto ci si deve riferire al valore assoluto di soglia, che deve essere inferiore a 20-25 dB per tutte le frequenze, con una certa omogeneità dei valori su tutto il campo tonale, senza differenze significative tra le due orecchie (solitamente sono ammesse differenze non superiori ai 10 dB) e con sovrapposizione di soglia per via aerea ed ossea.
Se, al contrario, si desidera definire la compatibilità di un deficit uditivo di tipo neurosensoriale, bilaterale e più accentuato alle alte frequenze con l’età, escludendo quindi la presenza di altri eventi patologici, ci si deve riferire alla condizione di normalità in rapporto ai valori normativi in riferimento agli anni del soggetto in esame. In ambito medico-legale tale approccio consente di definire se un evento patologico, rumore o trauma, possa aver influito nella genesi dell’ipoacusia o se, viceversa, questa sia compatibile con l’età del soggetto.
La valutazione di normalità riferita alla funzione uditiva appare, infine, la più consona in ambito medico legale in quanto consente di definire il limite di soglia audiometrica al di sotto del quale è verosimile che il soggetto non presenti alcun sintomo correlabile ad una patologia uditiva.
Fonte: linee guida per la valutazione dei danni uditivi da rumore in ambiente di lavoro (SIO)[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
Otoliti
Cosa sono gli otoliti
Gli otoliti, sono dei cristalli di carbonato di calcio, contenuti all’interno di strutture presenti nella porzione interna dell’orecchio chiamati sacculo ed utricolo (organi otolitici).
A che cosa servono gli organi otolitici?
Sacculo ed utricolo sono organi capaci di captare le accelerazioni lineari a cui è sottoposto il capo, differentemente dai canali semicircolari che invece captano le accelerazioni angolari. Le accelerazioni lineari comprendono quei movimenti che si generano durante la flessione o la traslazione del capo e quella di gravità, esercitata costantemente.
Allo stesso modo, quando la testa è sottoposta ad un movimento di accelerazione lineare, come può accadere durante la deambulazione o in auto, la membrana otolitica rimane indietro rispetto alla macula, inducendo una transitoria deflessione delle ciglia.
Ogni macula è divisa in due parti da una linea virtuale, la striola, attorno alla quale sono orientati gli assi di polarizzazione dei ciuffi di ciglia: nell’utricolo i ciuffi sono orientati con il chinociglio rivolto verso la striola, mentre nel sacculo hanno orientamento opposto. A causa del decorso arcuato della striola, l’orientamento dei ciuffi varia sistematicamente in modo da rilevare stimoli provenienti da tutte le direzioni.
Dove sono localizzati
Gli otoliti sono presenti, come detto sopra, all’interno di utricolo e sacculo, e precisamente adesi alla membrana otolitica, una membrana fibrosa, a sua volta adagiata su una superficie gelatinosa, all’interno della quale sporgono i ciuffi di ciglia delle cellule epiteliali. La struttura recettoriale in questione prende il nome di macula. Gli otoliti aumentono la densità della membrana otolitica rendendola più pesante rispetto alle strutture ed ai liquidi circostanti, in modo che quando la testa è flessa, a causa della forza di gravità, avviene uno spostamento relativo della membrana otolitica rispetto alla macula e quindi una deflessione dei ciuffi di ciglia.
Distacco degli otoliti
Gli otoliti, adesi alla membrana otolitica all’interno dell’utricolo, possono per varie cause spostarsi dalla loro sede, e quindi possono entrare all’interno di uno dei 3 canali semicircolari dell’orecchio. Ricordiamo che ogni canale semicircolare comunica con l’utricolo attraverso un ostio di comunicazione.
All’interno dei canali semicircolari è presente un liquido, chiamato endolinfa, per tale motivo, quando un otolita entra all’interno del canale, determina lo spostamento del liquido a seconda del movimento che compie (forza di gravità), generando a tal proposito, una stimolazione recettoriale che si traduce con vertigini rotatorie.
Quali sono i sintomi del distacco degli otoliti
Fin quando gli otoliti non entrano all’interno di uno o più canali semicircolari non determinano alcuna sintomatologia (tranne nei casi di distacco massivo). Nel momento in cui gli otoliti superano gli osti di comunicazione, allora si presentano le vertigini legate ai cambiamenti di posizione (vertigine parossistica posizionale). Le vertigini sono tipicamente rotatorie, associate a sintomi neurovegetativi (nausea, vomito etc.) ed hanno una durata di meno di un minuto. Sono scatenate dai cambiamenti di posizione, come quando ci si sdraia a letto o quando ci si rialza, ma anche quando ci si abbassa come per raccogliere un oggetto da terra.
Quali sono le cause
Le cause del distacco degli otoliti possono essere tante ed il più delle volte rimangono sconosciute in quanto non è sempre semplice identificarle. Tra le più frequenti, il trauma cranico come può succedere per un incidente stradale una caduta accidentale, come anche una carenza della vitamina D che come è risaputo partecipa nei processi di assorbimento intestinale del calcio. Altre cause possono essere disturbi del microcircolo, dismetabolismi, malattie autoimmuni.
Come si effettua la diagnosi
Per diagnosticare tale patologia l’anamnesi ci aiuta moltissimo in quanto il paziente riferisce una vertigine che insorge durante i cambiamenti di posizione. Il sospetto clinico viene poi confermato grazie all’esame vestibolare che viene effettuato in videooculoscopia (sistema di maschera con telecamera a raggi I.R.). Il quadro tipico nel caso dell’interessamento dei canali semicircolari posteriori (forma più frequente) è rappresentato da un nistagmo parossistico posizionale, dissociato, con componente verticale-rotatoria che batte verso l’alto (forma tipica) o verso il basso (forma atipica). La componente rotatoria ci indica il lato che nel caso della forma tipica è antiorario per il canale destro, orario per il sinistro.
La manovra tipica per evocare una vertigine posizionale da interessamento dei canali verticali e quindi il nistagmo relativo è quella di Hallpike.
Nei casi in cui vi è interessamento dei canali semicircolari laterali, il nistagmo sarà prevalentemente orizzontale, parossistico, geotropo, ossia che batte verso terra, nelle litiasi che interessano l’emibraccio ampollare, apogeotropo (batte contro terra), se interessano l’emibraccio non ampollare.
Manovra liberatoria
Per risolvere questa vertigine l’unico modo è quello di far uscire gli otoliti dal canale interessato e riposizionarli nell’utricolo. A tal proposito ci vengono in aiuto le manovre liberatorie, ossia quei movimenti che vengono compiuti al paziente per consentire e facilitare il passaggio degli otoliti attraverso l’ostio di comunicazione tra canale semicircolare ed utricolo.
Esistono differenti manovre a seconda del canale interessato. Le più comuni sono la manovra di Epley, la Brandt-Daroff, la Gufoni, la barbecue.
Vertigini acute: consigli pratici
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Quando un paziente ha vertigini acute bisogna affrontare i seguenti problemi:
- Difficoltà a mantenere la posizione eretta
- Sensazione di movimento dell’ambiente (vertigine rotatoria)
- Sintomi neurovegetativi come la nausea e il vomito
- Ansia reattiva
Cosa fare quando si presenta una crisi acuta?
Quando si presenta una crisi di vertigine è buona norma assumere una posizione tale che riduca la possibilità di cadute e quindi posizionarsi su un letto o sedersi su una sedia comoda.
Inoltre, evitare di muovere il capo e gli occhi in quanto peggiorano il sintomo.
Se non sono disponibili farmaci cosa si può fare per ridurre i sintomi vertiginosi?
Esiste la possibilità di controllare la sintomatologia acuta senza l’ausilio di farmaci come per esempio ridurre la nausea ed il vomito mediante la digitopressione secondo la medicina tradizionale cinese.
Tale punto (P6) chiamato Neiguan, è situato sulla superficie interna dell’avambraccio, ad una distanza di tre dita a partire dalla piega di flessione del polso.
Esistono dei braccialetti in commercio che consentono di esercitare una pressione sul punto P6, ma è possibile anche crearselo da sé utilizzando un elastico per capelli ed una sfera di opportune dimensioni di vetro o di plastica
Altro rimedio utile per ridurre la sensazione rotatoria di vertigine (quando la causa è l’orecchio) è quello di irrigare il condotto uditivo esterno con acqua fredda (<10° C°).
L’irrigazione andrebbe effettuata nel condotto uditivo dell’orecchio opposto a quello “malato”. Ciò vale per chi conosce la sua patologia come per esempio i pazienti menierici. Nei casi in cui non si conosce il lato patologico si possono fare delle irrigazioni ad entrambi i lati.
L’utilizzo di acqua fredda ha lo scopo di ridurre l’attività labirintica controbilanciando l’asimmetria vestibolare tipica della fase acuta. Ovviamente l’irrigazione determina una inibizione labirintica transitoria per cui risulta necessario ripetere la procedura più volte nel momento in cui i sintomi peggiorano nuovamente.
Per saperne di più clicca su vertigini.
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Emicrania vestibolare
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Cos’è l’emicrania vestibolare?
Il termine “emicrania vestibolare” è stato coniato da Dietrerich e Brandt nel 1999 e stava a significare una condizione caratterizzata da associazione di sintomi vestibolari (vertigini, dizziness etc) in pazienti cefalalgici dove ogni altra diagnosi era esclusa e dove i pazienti rispondevano bene alle terapie utilizzate nella classica emicrania. Nella stessa definizione, veniva anche considerata la possibilità in cui non erano presenti gli attacchi di cefalea.
Altre definizioni
Successivamente, sono state coniate altre definizioni come la vertigine emicranica (Neuhauser e Lempert 2001), la vertigine in relazione all’emicrania (Pagnini 20003), la vertigine nelle sindromi emicraniche (IHS 2004).
Nella definizione di vertigine emicranica, i sintomi vestibolari si accompagnano sempre a sintomi quali la cefalea o alle aure come la fotofobia, fonofobia, aure visive. Ovviamente anche in questo caso altre cause di vertigini sono escluse con buona risposta a farmaci antiemicranici.
Nel 2003 il prof. Pagnini coniò la definizione di “vertigini nelle sindromi emicraniche” mettendo in risalto soprattuto gli aspetti temporali dei sintomi (vertigine e cefalea) e quindi chiamò vertigine emicranica associata (VEA) quella condizione in cui gli episodi vertiginoso-posturali erano associati alla cefalea, e vertigine emicranica equivalente (VEE) gli episodi in cui i 2 sintomi non erano presenti contemporaneamente o comunque non associati.
Sempre il prof. Pagnini, differenziò 3 condizioni di VEE quali la vertigine emicranica equivalente precoce in cui i sintomi vestibolari si presentavano precocemente nell’infanzia senza cefalea (vertigine benigna dell’infanzia e il torcicollo parossistico infantile), la VEE intercritica in cui gli attacchi di vertigine si alternano agli attacchi di cefalea, la VEE tardiva in cui gli attacchi di vertigine si presentano in pazienti con storia di cefalea emicranica, in cui i sintomi algici sono scomparsi (come può accadere dopo una gravidanza o dopo la menopausa).
Aspetti epidemiologici
La prevalenza dell’emicrania negli adulti è molto alta e nelle donne (circa 15%) è 3 volte maggiore rispetto agli uomini (circa 5%). L’età di insorgenza tipica è nella terza/quarta decade di vita
Mentre la prevalenza dei disturbi vertiginoso-posturali è ben tre volte maggiore nei pazienti emicranici rispetto ai ai soggetti non emicranici e circa il 40% dei dei pazienti affetti da vertigine presentano una storia di cefalea emicranica.
Fisiopatologia dell’emicrania vestibolare
Attualmente i meccanismi fisiopatologici che sono alla base della vertigine emicranica non sono ancora del tutto chiari. Esistono vari modelli presi in considerazione per spiegare tali meccanismi e 3 dei quali sono maggiormente accreditati:
1) Mediazione di neurotrasmettitori quali serotonina e noradrenalina come trigger per la crisi vertiginosa ed algica (mal di testa)
2) Azione di tipo trigeminale con successiva vasodilatazione nel sistema nervoso centrale
3) Disregolazione talamo-corticale con successiva eccitabilità delle vie vestibolari
Quali sono i sintomi dell’emicrania vestibolare?
Il quadro sintomatologico nella emicranica vestibolare può essere differente di paziente in paziente. I sintomi vestibolari (vertigini, disequilibrio, instabilità posturale) possono accompagnarsi alla cefalea o possono essere indipendenti. Quando non si accompagnano alla cefalea diventa sicuramente più difficile la diagnosi e quindi va posta attenzione maggiormente alla storia clinica del paziente (episodi pregressi di cefalea, equivalenti emicranici nell’infanzia etc.) nonché i fattori scatenanti gli episodi vertiginoso-posturali.
Quindi i criteri indispensabili sono i seguenti:
- Soggetti con emicrania vera classificate secondo il sistema internazionale delle cefalee (I.H.S.)
- Presenza di episodi ricorrenti di crisi vertiginose e/o turbe posturali
- Assenza di altra patologia che giustifichi i sintomi vertiginoso-posturali
- Esclusione di patologie neurologiche (RMN encefalo negativa)
- Assenza di fattori di rischio vascolare clinicamente importanti
Fattori scatenati gli attacchi di vertigini o cefalea
I fattori che possono influenzare l’andamento delle crisi vestibolari e/o cefalalgiche sono tanti tra i quali:
Fattori temporali:
- periodo perimestruale
- andamento stagionale
- cambiamenti atmosferici
- ora del giorno
Fattori comportamentali
- stress, affaticamento
- disordini del sonno
- alimenti particolari
- cambiamenti di abitudini
Esami diagnostici
Nel sospetto di emicrania vestibolare è di fondamentale importanza escludere altre cause di vertigini ricorrenti e quindi risulta necessario fare, oltre ad una anamnesi completa, almeno i seguenti esami diagnostici: esame vestibolare, esame audiometrico, RMN encefalo. Nei casi di difficile interpretazione, può essere utile un approfondimento mediante potenziali evocati miogenici (vemp’s), elettrococleografia, TC rocche petrose.
Emicrania vestibolare associata ad altre patologie
Grazie a studi epidemiologici si è notato che vi è una stretta correlazione tra emicrania vestibolare e malattia di meniere. Infatti la prevalenza di emicrania oscilla tra il 40% e il 55% nei menierici rispetto a circa il 20% dei non menierici. Nonostante questi dati, non è ancora del tutto chiarito il meccanismo fisiopatologico che metterebbe in relazione le due patologie.
Altra condizione spesso associata all’emicrania vestibolare è la vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) (otoliti). Infatti, nei pazienti affetti da VPPB l’incidenza di emicrania è circa il 50% e la possibilità di una ricorrenza degli episodi di VPPB è circa il 70%.
Nessuna associazione invece è stata trovata con la neurite vestibolare (nel linguaggio comune labirintite)
Quali sono le cure?
I farmaci che possiamo utilizzare nelle vertigini emicraniche sono vari ed alcuni dei quali utili in fase acuta come i triptani, i FANS, i psicoattivi mentre altri nelle fasi intercritiche (ossia quando non sono presenti i sintomi) i farmaci così detti preventivi come i calcio antagonisti (funarizina), beta-bloccanti, antidrepessivi triciclici, antiepilettici etc. La scelta di uno o più farmaci dipende da paziente a paziente ed è legato oltre che dalla qualità e dalla frequenza dei sintomi anche dalle controindicazioni ai farmaci stessi. Infatti i beta-bloccanti andrebbero evitati nei pazienti ipotesi o bradicardici così come la flunarizina andrebbe evitata nei pazienti depressi o obesi.
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Leggi l’articolo scientifico sulla Vertigine Emicranica
Vertigine emicranica[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]